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Per un Teatro Eco Logico.

Updated: Nov 9, 2022

“With Pan dead, so too was Echo; we could no longer capture consciousness through reflecting within our instincts. They had lost their light and fell easily to ascetism, following sheepishly without instinctual rebellion their new shepherd, Christ, with his new means of management. Nature no longer spoke to us – or we could no longer hear”.


James Hillman – An Essay on Pan






Inizia così la mia tesi di laurea all’università La Sapienza di Roma, nel corso di studi Arti e Scienze dello spettacolo.


Mi sono imbattuto in questa frase anni fa, casualmente. Fu una di quelle frasi che più mi rimase impressa anche senza dover approfondire l’argomento, l’autore o il contesto.


Pan? Eco?


Li avevo sempre considerati personaggi della fantasia e del mito. Eppure, la sensazione che mi diede questa frase fu così forte da far cambiare qualcosa nel mio cervello, e trovare estremamente reale questo rapporto di cui Hillman parla.


È così che ho iniziato a connettermi con la natura in maniera più profonda e viva, nel vano tentativo di riappropriarmi, un giorno o l’altro, della capacità di parlare con madre natura, o semplicemente, di ascoltarla.


Ecco perché ho trovato molto naturale il mio ingresso nella squadra della Festa di Teatro Eco Logico.


Nel 2015, dopo essermi diplomato all’Accademia Internazionale di Arte Drammatica di Roma, incontrai Alessandro Fabrizi durante uno spettacolo a cui avevo fatto da assistente alla regia.


Preso forse dall’entusiasmo dello spettacolo che aveva appena visto, Ale mi propose di fare da assistente alla regia della sua messa in scena site-specific della “Tempesta” di Shakespeare. Fu così che ebbe inizio la mia avventura nella Festa.


Immaginate di arrivare a Stromboli per la prima volta a 21 anni, un’isola di cui fino a poco tempo prima addirittura ignoravo l’esistenza.



Il mio arrivo sull’isola non fu dei più semplici. Per una serie di sfortunati eventi (l’avete visto il film? Io l’adoro), il mio viaggio fu piuttosto travagliato.


A causa di uno spettacolo che avevo in programma da diverso tempo, chiesi di partire un paio di giorni dopo il resto della squadra, composta da attori della “Tempesta”, spettacolo principale del 2016, e organizzatori della Festa.


Certo, mi immaginavo che arrivare a Stromboli non è come prendere la metro, né tantomeno come prendere un aereo e arrivare nel posto prescelto.

I modi per arrivare a Stromboli sono pochi, e se non puoi prenderne uno facile (diciamo da Napoli) allora ti tocca fare “il giro largo”.


Immaginate dunque di arrivare a Stromboli dopo essere stati per 12 ore su un pullman partito da Roma Tiburtina e arrivato a Milazzo, dopo aver corso come un forsennato per prendere il cambio in direzione porto e infine, dopo aver preso l’aliscafo che lentamente si è avvicinato a Ginostra e successivamente a Stromboli.


Una fatica rara.


Io, Stromboli, me la sono conquistata.


Non so cosa sia successo in quei 10/15 giorni del 2016, fatto sta che nella Festa ci sono poi rimasto, e che a Stromboli ho continuato a tornarci sempre, tanto da decidere appunto di dedicare la mia ricerca di tesi proprio alla Festa di Teatro Eco Logico.


Prima di continuare voglio fare una precisazione: io odiavo il teatro.


Da quando avevo iniziato a frequentare l’Accademia, ho trovato la maggior parte degli spettacoli che vedevo noiosi, lenti e che non mi trasmettevano assolutamente niente, se non un leggero fastidio per aver speso quei 5 o 10 euro, che faticosamente avevo messo da parte.


Per questo motivo ho iniziato da subito a preferire la regia alla recitazione.


Avevo la sfrontatezza di voler cambiare le cose… chissà.


Comunque, in quanto “regista”, è stato proprio a Stromboli che ho trovato in professionisti e non un comportamento diverso da quello al quale ero abituato e avvezzo nel teatro in generale.


Mi sembrava tutto diverso.


La mia noia si stava trasformando in curiosità, poi in fascino e poi, credo, in comprensione.


Il pubblico, composto da abitanti e turisti, era attivo, partecipe. Ci cercavano in giro per l’isola, ci hanno visto arrivare con vestiti secenteschi direttamente in spiaggia, creando un bel contrasto tra il loro costume (da bagno) e il nostro costume (di scena).


I bambini partecipavano divertiti, sempre una spanna avanti agli adulti, complici di questo immenso gioco che stavamo facendo.


Se un teatro così è possibile, perché non lo avevo mai vissuto?


Perché fino al mio arrivo sull’isola, avevo spesso considerato mortalmente noioso assistere a uno spettacolo?


Ormai sembra che a teatro vadano per la maggior parte quelli che lo fanno.


Perché continuare a sentirsi stranieri in un teatro definito “nazionale”?


Su questi interrogativi si è basata la mia ricerca, ed è da Stromboli che vorrei partire.


Grazie a una petizione fatta dagli abitanti nel 1998, le strade di Stromboli non sono illuminate. L’Enel predispose gli attacchi elettrici per i lampioni, ma gli stromboliani optarono per questa soluzione perché così “a Stromboli di notte si vedono le stelle”.







Per chi non ci fosse mai stato si deve immaginare un groviglio di strade molto strette, dove solo le Api Piaggio o al massimo i golf cart possono circolare.


Abituato ai ritmi della modernità, mi sono trovato a dover letteralmente rallentare. Sono gli elementi naturali a fare da padroni in questo luogo.

Basti pensare a quando si rientra in casa la sera, e i nostri occhi compiono qualcosa che probabilmente non hanno mai fatto, ovvero si abituano al buio, tanto da poter distinguere le figure; i sensi si acuiscono, in quanto non più filtrati dai mezzi tecnologici; se il mare è agitato, spesso, le navi e gli aliscafi non partono. Il mondo non è più “a portata di mano”.


Si ristabiliscono dei contatti con ciò che c’è intorno. Pensando di essere più fragili perché esposti agli elementi naturali, ci si ritrova più sicuri, meno ansiosi, più energici.


Negli anni ho capito che ciò potrebbe succedere per un equilibrio energetico di Ying e Yang, fuoco e acqua, che rendono Stromboli così unica per tanti.

Non lo dico casualmente Ying e Yang. Secondo la storia della medicina orientale, tutto il mondo, tutte le forze sono regolate dagli opposti: ying e yang, appunto.


In medicina, ogni organo corrisponde a un punto. Nella natura, gli opposti si attraggono.


È un discorso di relazione degli opposti, di ciò che si contrasta per raggiungere un equilibrio.

Ed è forse quello che facciamo anche noi. Entriamo in relazione per cercare un equilibrio.


Relazione umana. Relazione con il testo. Relazione tra gli attori. Relazione con lo spazio.


Tutto ciò viene fuori nel momento in cui si decide di non utilizzare la corrente elettrica.


Come un fiume in piena, il teatro inonda le strade e le spiagge dell’isola.


Bagnanti vacanzieri si vedono arrivare in spiaggia personaggi in costume creando un contrasto straordinario. La convivenza dei due mondi riesce.


Se questa Festa è nata per caso, è con delle regole chiare e comuni che si sta sviluppando.


Il principale intento della Festa è contenuto nel suo stesso nome: infatti, anche se per nove giorni si susseguono eventi, artistici e non, non ha mai preso il nome di Festival ma di Festa, appunto.


Se l’evento avviene in uno spazio non chiuso e limitato, come può essere l’edificio teatrale, prende una portata enorme. Infatti l’arte entra a far parte del quotidiano e citando un concetto espresso da Victor Turner, si crea un “rito di passaggio”. (Approfondirò presto questo argomento).





Come ho accennato, la caratteristica principale della Festa è quella di non utilizzare corrente elettrica per l’illuminazione.


C’è come un adeguamento a ciò che l’isola offre: se di notte non si usa l’elettricità, così deve essere anche per l’evento dal vivo.


Ma com’è nato tutto ciò?


L’origine della Festa è relativamente recente. Tutto nacque a partire dal 2005, anno in cui Alessandro Fabrizi, insieme a un gruppo di attori e attrici, decide di organizzare un workshop condotto da Kristin Linklater della durata di circa un mese.

Il motivo per cui fu scelta proprio Stromboli, oltre al fatto dell’essere visivamente bella e prestante anche a livello “scenografico”, fu perché il lavoro era incentrato sulle metamorfosi. La Sicilia è impregnata di miti e leggende, e ciò permetteva di lavorare in un posto il cui genius loci si relazionava perfettamente con l’oggetto di studio e ricerca.

A fine workshop, i partecipanti, guidati da Kristin e Alessandro si esibirono in uno spettacolo. Con il passare degli anni sempre più workshop e di conseguenza “spettacoli” finali furono organizzati.

Fu come se l’isola richiedesse questa iniziativa, questa performance finale, che si è sviluppata sempre più, fino a diventare quello che è adesso.

Ecco che nel 2013 avviene quella che venne definita “Edizione 0”.


Al posto dei proiettori utilizzati solitamente in teatro, le candele; al posto dei pc, dei par o dei sagomatori, lanterne a butano e torce; al posto dei filtri colorati, i colori del tramonto o la luce delle stelle.


Grazie ad Hossein Taheri in primis, a Ezio Spezzacatena e a Emanuele Von Normann in secundis, si sta definendo una tecnica di illuminazione naturale.


Negli eventi diurni, il sole con le sue varie gradazioni illumina meglio di qualsiasi ausilio tecnologico.


Negli eventi notturni, tutto si gioca sul contrasto tra fuochi e buio. La luce tremula delle candele dà uno spessore alle ombre e ai colori tale da creare qualcosa di magico.


La portata della luce naturale non è ampia come quella artificiale, così, prossemicamente, gli spettatori e gli artisti devono stare vicini.


Senza microfoni, senza casse, la voce non viene filtrata da niente, ci arriva dolcemente alle orecchie, sfruttando la risonanza delle rocce, delle grotte, del vento.


Linguaggio e natura si sostengono.


Nel momento in cui decidiamo di rinunciare a un ausilio tecnologico, siamo soggetti alle forze naturali. Ciò significa non poter fare ciò che si vuole ma comporta l’obbligo di tornare in dialogo con la natura.


L’evento all’aperto, alla mercé dei venti, degli agenti atmosferici, riporta l’uomo alla sua dimensione di puntino nel mondo.

Eco e logos tornano in relazione, l’una in relazione con l’altro.

Ed è qui che voglio sospendere la mia prima riflessione sul nostro evento.

È forse possibile ristabilire questo dialogo di cui Hillman parla?

Siamo sempre in tempo e in grado di ascoltare la natura?





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